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Transizioni
Storie e storiografie del mutamento sociale

Direzione editoriale
Gianmaria Brunazzi (Università degli Studi di Milano)
Michele Campopiano (Università degli Studi di Catania)

Comitato scientifico
Lorenzo Coccoli (Università degli Studi di Catania)
Daniel Curtis (Erasmus University Rotterdam, Netherlands)
Massimo Gabella (Università degli Studi della Repubblica di San Marino)
Maria Chiara Giorg(Sapienza Università di Roma)
Jennifer Guglielmo (Smith College, Northampton, MA, USA)
Freya Sierhuis (University of York, UK)
Giacomo Simoncelli (Sapienza Università di Roma)
Meera Visvanathan (Shid Nadar University, Delhi NCR, India)
GildZazzara (Università Ca’ Foscari Venezia)

“Come i fiori volgono il capo verso il sole, così, in forza di un eliotropismo segreto, tutto ciò che è stato tende a volgersi verso il sole che sta salendo nel ciel della storia”
       W. Benjamin

Asseriva Walter Benjamin – con lo sguardo rivolto a quello storicismo europeo che, nella sua pretesa totalizzante, ricomponeva il passato del mondo intero entro il proprio orizzonte – che chi domina il presente non può che leggere la storia teleologicamente, restituendone un’immagine coesa e armonica, già levigata da ogni contraddizione apertasi nel tempo.

Così, la “fine della storia”, celebrata da Francis Fukuyama all’indomani del crollo dell’URSS, iscrivendo fatalmente il migliore dei mondi possibili nel destino delle società umane, ha suggellato ideologicamente un trentennio in cui ogni radicale contestazione del processo storico e dei suoi esiti perdeva significato, insieme alla possibilità stessa del mutamento sociale. Alle prospettive di rottura e alle vie rivoluzionarie degli oppressi, la storiografia progressista sostituiva un’attenzione benevola verso le minoranze emarginate ed escluse dall’universo di possibilità che il liberalismo occidentale pretendeva di offrire a tutte e tutti. L’impossibilità di rimettere organicamente in discussione le strutture economiche e le istituzioni che il presente andava celebrando favoriva la frammentazione di quella storia che, per maestri come Edward Palmer Thompson ed Edward Hallett Carr, non poteva prescindere da una lettura complessiva del sociale, e alimentava un culturalismo volto a esplorare aspetti ideologici, linguistici, religiosi e politici, slegati dalle condizioni materiali cui erano intrecciati.

Dalla crisi del 2007-08, e via via più intensamente con l’inasprirsi delle disuguaglianze, l’erosione dei diritti sociali conquistati nel Novecento e il ritorno della guerra in un Occidente segnato da una profonda crisi egemonica, si è fatta sempre più urgente la riapertura di uno spazio per una critica sistemica dell’ordine presente, e della storia che lo ha generato (si pensi alla New History of Capitalism). Mentre l’economia cessa di apparire regolata da leggi naturali e immutabili, tornando a costituire terreno di contesa politica, viene riscoperto il nodo delle transizioni – quei momenti storici in cui logiche economiche, assetti istituzionali e forme di vita si ridefiniscono profondamente (si pensi ai lavori di Ellen Meiksins Wood, Chris Wickham, John Haldon, Bas van Bavel o Robert Brenner). Parallelamente, l’agency dei dominati torna al centro della riflessione storiografica: non più oggetti passivi delle manipolazioni delle élite, ma soggetti attivi, capaci di elaborare autonomamente sistemi di valori, pratiche di resistenza e strumenti di emancipazione, attraverso processi di soggettivazione che hanno condizionato e possono determinare le traiettorie della modernità (si pensi ai lavori di Marcus Rediker e Dan Curtis, e alla nuova storia della resilienza sociale).

In questa cornice dinamica, la storiografia italiana è rimasta in larga parte impermeabile alle correnti che, mettendo in discussione le narrazioni consolidate dello sviluppo storico, stanno ridefinendo lo strumentario concettuale della disciplina e ricomponendo le diverse sfere dell’agire sociale. Basti pensare al fatto che la quasi totalità delle opere di riferimento delle scuole e degli autori citati non è mai stata tradotta in italiano.

La collana intende aprire il dibattito italiano alle questioni di ricerca e alle chiavi interpretative sviluppate da queste nuove tendenze, e accogliere voci che si propongano di contribuire al rinnovamento della disciplina storica, ponendo al centro i processi di trasformazione sociale, le discontinuità, le rotture, le forme di resistenza, i soggetti e le soggettività che li hanno agiti. Vuole offrire uno spazio alla riflessione radicale sulle forme della narrazione storica, alla critica storiografica, a genealogie alternative e a concettualizzazioni capaci di interrogare in profondità le traiettorie del cambiamento e le loro condizioni di intelligibilità, riscoprendo le potenze latenti della storia.